Michel Couturier (1957) è un’artista tecnicamente eclettico: pittura, disegno, stampa, video, performance, gli sono familiari e vengono talvolta utilizzati analiticamente, cioè per successive trasformazioni/ declinazioni /metamorfosi di una stessa materia. Quale che questa sia, Couturier si appropria così dell’oggetto per trasfigurarlo in stato mentale del soggetto creativo. Ma del resto il gesto artistico non è mai veramente stato questione di imitatio naturae, quanto presentazione, dichiarazione, testimonianza, di posizioni, scelte, visioni, denunce culturali della realtà. Di conseguenza, ciò che le opere rappresentano è riconoscibilissimo e irriconoscibile: i ciottoli non sono ciottoli, tralicci e insegne suggeriscono alberi e foreste, i parcheggi parlano di incomunicabilità e alienazione, i porti e i paesaggi di viaggi, scambi, flussi migratori, incroci e tensioni interculturali.
Al di sotto di una costante accuratezza formale, emerge un universo allegorico che, in questa mostra, si avvale di immagini di eccezionale potenza perché provenienti da un ambiente marcato dalle più acute contraddizioni. I lavori presentati, infatti, fanno parte di una ricerca triennale, condotta in Sicilia e da concludere a Noto, della quale forniscono un primo rapporto, altrettanto affascinato che inquietante e di denuncia. Reazioni certo stridenti, ma inevitabili in questo avamposto d’Europa, esposto a tutte le migrazioni e contaminazioni etnico-culturali; arretrato economicamente, ma tutt’altro che sottosviluppato; dotato di un patrimonio monumentale e ambientale unico, ma oggetto di furiose devastazioni. Le infrastrutture incompiute, i capolavori architettonici in rovina, la natura assediata dal cemento (come il lago di Pergusa, teatro del mitico “Ratto di Proserpina”, imprigionato da una pista automobilistica abbandonata e in progressivo prosciugamento) recitano così l’epica abietta e sublime della condizione umana.
Rosa Anna Musumeci, maggio 2018